In narrativa si chiamano prolessi, anticipazioni di fatti che avverranno in futuro. Per Paolo Rossi, la domenica del 12 marzo 1978 suonò più o meno così. Allo stadio Olimpico il Vicenza vinse 3-1 contro la Lazio, grazie alla sua tripletta. Ad aprire i giochi fu un tocco di testa a beffare il portiere biancoceleste Garella, in una modalità che tanto ricorda la prima rete del leggendario tris al Brasile nel secondo girone del Mundial ’82.
Quella palla non fu però crossata da Antonio Cabrini – come in Nazionale – ma da Franco Cerilli, tra gli artefici del biennio d’oro del Lanerossi, la squadra dei miracoli capace di conquistare la Serie B nel ’77 e di chiudere al secondo posto in A nell’annata successiva. “Cambiò soltanto l’angolazione. In azzurro la palla gli arrivò dalla sinistra, io calciai dalla destra. Fu il mio assist più bello”. Esterno offensivo tutto classe e fantasia, Franco in quel periodo fu la spalla in campo di Pablito.
Per il primo compleanno dalla sua scomparsa, ha ripercorso con la Gazzetta la storia di Rossi nei primi anni in provincia. Alle origini del mito. Rossi-Cerilli, a Vicenza arrivaste insieme. “Era l’estate del ’76. Io, classe ’53, venivo dall’Inter. Lui, classe ’56, dalla Juve. Nonostante i tre anni di differenza ci trovammo subito a meraviglia e nacque un’amicizia profonda, durata 45 anni. Si creò un gruppo storico, rimasto in contatto anche a fine carriera. Organizzavamo rimpatriate quasi ogni sabato, almeno fin quando riuscivamo ancora a giocare (ride, ndr). Poi, a cena tutti insieme…”. Vicenza fu per Paolo la città delle origini. Come nacque la sua favola?
Divenne subito capocannoniere della Serie B con 21 gol. Stessa cosa in A l’anno dopo, ne segnò 24″.Com’era giocare insieme a lui? “Era un maestro nei movimenti e sapeva sempre trovare lo spazio giusto, bastava avere un piede discreto per servirlo senza difficoltà sia davanti alla porta che in appoggio. Rimase tre stagioni a Vicenza e credo che lì si sia visto il miglior Paolo Rossi, anche perché a trent’anni chiuse la carriera. Colpa dei problemi alle ginocchia…”. Qual era il vostro segreto? “Fingeva di venire incontro e sapevo che sarebbe andato a tagliare l’area, o viceversa. Per capirci bastava alzare gli occhi, andavamo a memoria già dopo i primi due mesi insieme. Serviva un solo sguardo per intuire dove mettergli la palla, al resto pensava lui. Era il nostro punto di riferimento, impossibile fermarlo”. Lo mandò spesso in gol…”Una volta, a Napoli, mi passò la palla e gliela misi davanti al portiere. Fece un gol facile, ma non segnava da un po’ e fu una piccola liberazione. ‘Difficile vero?’ gli chiesi. E cominciammo a ridere.
Mandarlo in rete era una goduria, mister Fabbri ci diceva ‘Andate in campo e fate musica’. Noi lo prendevamo alla lettera, ci divertivamo…”. Qualche volta ricambiò il favore?” Ricordo il gol che mi fece fare in casa contro il Toro. Sotto una pioggia sottile, arrivò palla al piede dalla destra stringendo verso il centro. Il portiere uscì e me l’appoggiò dietro. Dovevo solo spingerla in rete, a porta vuota…”. Qual è la sua fotografia del Vicenza delle meraviglie?” Novembre ’77. Giocavamo in casa, al ‘Romeo Menti’, contro la Roma. Fu una partita incredibile, finì 4-3 per noi. Io segnai il primo gol, Paolo ne fece due e a pochi minuti dalla fine il nostro portiere Galli, anche lui venuto a mancare l’anno scorso, parò un rigore a Di Bartolomei. Fu una giornata che descrisse al massimo le potenzialità di una squadra matta e spettacolare”.
Ancora oggi si ricordano di noi perché facevamo sognare la gente. Non a caso i giornali ci ribattezzarono Real Vicenza, una squadra di provincia che giocava come il Real Madrid”. Dopo il secondo posto in campionato, Rossi fu protagonista del mercato estivo…”Il Vicenza e la Juventus non trovarono l’accordo per la risoluzione della sua comproprietà e si andò alle buste. Il nostro presidente, Giussy Farina, scrisse una cifra altissima per il tempo, più di due miliardi. Voleva tenerlo e riuscì ad aggiudicarselo. Fu clamoroso. L’anno dopo il Vicenza retrocesse e Paolo passò al Perugia, restando in A”. Nella primavera del 1980 scoppiò lo scandalo Totonero.” Venne squalificato per due anni. Proprio in quel periodo io mi trasferii da lui per qualche tempo perché non volevo tornare a Pescara, squadra in cui ero passato l’anno prima. Qualche volta ne parlammo.
Portava sempre allegria e riusciva a farsi voler bene da tutti. Dopo i Mondiali del ’78 in Argentina, quelli in cui lo soprannominarono Pablito, venne in vacanza per una decina di giorni a Chioggia, da me, insieme a Simonetta, la sua prima moglie. Gli amici iniziarono a pressarmi. ‘Portalo da noi, vogliamo conoscerlo’. E lui, tra cene al ristorante e qualche giro per i tornei della zona, non disse mai di no e rese felice tanta gente. Per questo è un’icona del nostro calcio”. E quell’estate non finì lì. “Andammo insieme al Torneo di tennis di Sanremo, un evento molto importante all’epoca. C’erano calciatori e vip di ogni tipo, ma noi eravamo un’altra cosa. Glielo racconto con un aneddoto. Nel nostro albergo si doveva sempre andare a cena in giacca e cravatta. Io e Paolo, per evitare di cambiarci, ce la facevamo portare in camera (ride, ndr)”.Questo è il primo compleanno dalla sua scomparsa…”Lo scorso 9 dicembre, saputa la notizia, sono stato davvero male. La nostra amicizia andava oltre lo spogliatoio e le cose di campo. Pensi, grazie a lui ho indossato addirittura la maglia della Nazionale. Nel 1982 nacque il Club Italia, selezione di cui facevano parte i campioni del mondo. Organizzavano tournée, ma siccome non tutti gli ex azzurri riuscivano a partecipare sempre, Paolo fece il mio nome per farmi entrare nel gruppo. Così, da New York a Miami, fino al Venezuela, viaggiammo per giocare ancora insieme. Per me fu un onore. Oggi è strano ripensarci e rivedere le sue foto, i suoi guizzi in tv. Non riesco ancora ad abituarmi alla sua assenza, nel mio cuore vivrà sempre”
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