Zoff: «A Paolo Rossi dedichiamo anche la classifica dei capocannonieri»

Il campione di Spagna 82: «Io e Tardelli lo prendevamo sempre in giro per le sue doti canore…Un torneo nazionale giovanile a suo nome»

Purtroppo al posto dello stadio Sarrià, a Barcellona sorgono oggi i palazzi. Ci fosse ancora, oltre al Menti di Vicenza lo stadio di Paolo Rossi sarebbe quello; in quel torrido catino fece impazzire di gioia noi, e disperare fino alle lacrime i brasiliani. Dino Zoff e Paolo Rossi, due simboli di quell’epica estate del 1982. Zoff era il capitano, campione del mondo a quarant’anni, l’uomo che nella notte del Bernabeu alzò la coppa a fianco di Sandro Pertini festante con la sua pipa; Rossi era semplicemente «Pablito», roba che ti vengono i brividi solo a pronunciarlo quel nome. «È certamente una bella cosa che il piazzale dello stadio di Vicenza sia riqualificato e porti il nome di Paolo Rossi» commenta il portierone. «Pablito» se ne è andato cinque mesi fa, il 9 dicembre, portato a spalle qualche giorno dagli eroi di Spagna, ma la sua eredità e le sue magie continuano a pulsare.

Zoff, a lei cos’altro piacerebbe per tributare la memoria di Paolo Rossi?

«Tra le tante, mi piace molto l’idea di intitolargli il premio per il titolo della classifica dei cannonieri della serie A. Mi piacerebbe anche gli venisse dedicato un torneo nazionale giovanile».

Che ricordo ne ha?

«Lo seguivo già quando era al Como, allenato dal mio amico Beniamino Cancian. Paolo esplose nel Vicenza e in Nazionale ai mondiali di Argentina del 1978. Lì nacque “Pablito”, il cui mito si consacrò quattro anni dopo in Spagna. Paolo era un ragazzo buonissimo, simpatico e sveglio. Era un amicone, una persona davvero piacevole, corretta ed educata, oltre che un grande giocatore».

 

 

Andavi all’estero, e appena vedevano che eri italiano ti dicevano «Paolo Rossi».

 «Già, e anche “Dino Zoff”…(ride, ndr)».

Nel 1982 in Spagna l’avvio fu difficilissimo; poi Rossi si sbloccò e da quel momento la vostra fu una cavalcata trionfale. 

«Lui tornava dalla squalifica, le prime tre partire era in difficoltà, come tutti noi del resto. Anche noi avevamo i nostri problemi, ma lo sostenevamo. Il maggior merito fu di Enzo Bearzot che gli diede fiducia, combatté contro tutto l’ambiente esterno alla squadra per metterlo in campo».

Enzo Bearzot, Gaetano Scirea, Paolo Rossi: tre colonne che ci hanno lasciati. Quanto potrebbero dare oggi al nostro calcio, secondo lei? 

«Sul campo tantissimo. Fuori, non so quanto potrebbero incidere. Il mondo segue le mode; nell’esasperazione mediatica far gol non basta più, devi fare anche qualcosa altro. So solo che ci mancano tantissimo».

Bei tempi.

 «Proprio. Lo dica un po’ a me che vado verso gli ottant’anni…».

 

 

In un Paese normale, lei l’avrebbero nominata presidente della Federazione. 

«Grazie, ma ormai alla mia età…».

Rossi era un ragazzo allegro e sorridente che amava scherzare. Ma voi quante gliene facevate? 

«Io e Tardelli lo prendevamo spesso in giro, lui si divertiva come un matto e stava sempre allo scherzo. Lo prendevamo in giro un po’ su tutto, sempre con grande affetto: sulle sue doti canore non gliene perdonavamo una».

E del «Real Vicenza» di G.B. Fabbri, cosa ricorda? 

«Era una gran bella squadra. Giocavano un bel calcio, correvano molto e quando venivano a Torino ci davano filo da torcere. In porta avevano Galli, gran bel portiere. Non ricordo se Paolo mi fece anche gol. Penso di sì. Sa, ne ho presi talmente tanti…».

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